Sono molte purtroppo le molecole che non vengono sperimentate adeguatamente proprio perché sono conosciute da tempo e si trovano già in vendita a prezzi bassissimi e quindi non possono essere brevettate
: L’impossibilità di brevettarle rende queste molecole poco
interessanti per le case farmaceutiche.””DCA, Dicloroacetato. È il nome
della molecola che sta facendo emergere le contraddizioni della medicina
e della farmacologia contemporanee. A gennaio, uno studio condotto
all’Università di Alberta, Canada, e pubblicato su Cancer Cell, ha
evidenziato che il Dca è un potente proapoptotico, è cioè in grado di
ricondurre le cellule tumorali sulla strada della morte programmata, la
sorte cui sarebbero destinate se non sviluppassero strategie di elusione
che le rendono praticamente immortali.Questa piccola molecola agisce
inibendo un enzima nei mitocondri (il Pdk, pyruvate dehydrogenase
kinase) che, innescando un meccanismo a cascata, porta all’apoptosi
delle cellule tumorali (ma non di quelle sane). Risultato: si osserva
una drastica riduzione della loro capacità proliferativa e di crescita,
con la conseguente riduzione della massa tumorale. Il tutto senza alcun
effetto collaterale apparente.Ma si tratta solo di sperimentazioni su
modelli animali. Il passaggio alla sperimentazione sull’essere umano è
cosa lunga e difficile. Come al solito. Più del solito, in realtà.
Perché il dicloroacetato è una molecola già in uso da decenni,
soprattutto nella potabilizzazione e disinfezione delle acque, e nel
trattamento di alcune sindromi metaboliche. Dunque non è brevettabile, e
chiunque svolgesse trial clinici non potrebbe godere degli eventuali
guadagni esclusivi derivanti dalla sua commercializzazione. È a tutti
gli effetti un’ “orphan product”, per dirlo dell’americana Fda (Food and
Drug Administration), che col patrocinio del dipartimento della salute,
a tali prodotti, in particolare a quelli destinati alla cura di
malattie rare, dal 1982, ha dedicato un ufficio competente l’Office of
Orphan Product Development (OOPD). Per aggirare gli ostacoli e
velocizzare i tempi, il responsabile della ricerca, Evangelos
Michelakis, chiede un finanziamento al Ministero della Salute canadese.
Ma la procedura di approvazione del piano di ricerca richiederà
settimane, forse mesi. Così nel frattempo, con una lettera pubblicata
sul sito dell’Università di Alberta, Michelakis lancia una
sottoscrizione per finanziare i suoi studi suq questa promettente
molecola. Occorrono almeno 1,5 milioni di dollari per cominciare; al
momento si è fermi a 100 mila.Intanto i pazienti non stanno a guardare.
Avidi di informazioni sugli esperimenti che potrebbero salvare loro la
vita, ci mettono poco a scovare quelli sul Dca, a confrontarsi in rete, a
mettere su una community di malati e loro parenti, esperti e non
esperti. E ci mettono un attimo a reperire, anzi a produrre, e
autosomministrarsi il dicloroacetato. Thedcasite.com (il sito di
riferimento, insieme a buydca.com) diviene in breve un ingorgo di
informazioni mediche e storie, consigli sulle dosi e sulle interazioni
della molecola con altri farmaci. “Se c’è soltanto una piccola
possibilità che il Dca faccia regredire o uccida il cancro, molti di noi
si affretteranno ad usarlo”, dice MarkW. E lo stanno facendo.Molti
comunicano i risultati delle analisi a intervalli regolari, un vero e
proprio follow up; altri sono sfiduciati per l’inefficacia del
trattamento. I temporanei miglioramenti di qualcuno sono additati allo
straordinario potere del Dca. O a un miracolo. Tuttavia, la comunità
scientifica è molto cauta. Al momento “si conoscono degli effetti di Dca
a livello cellulare e preclinico, ma gli studi eseguiti non consentono
di stabilire se il suo meccanismo d’azione abbia un interesse per la
terapia dei tumori umani”, sostiene Maurizio D’Incalci, direttore del
dipartimento di Oncologia all’Istituto Mario Negri di Milano. Inoltre,
“sostanze con meccanismi d’azione analoghi non si sono rivelate efficaci
quando sperimentate in modo rigoroso a livello clinico”.Cautela,
dunque, anche perché “se si utilizzano preparazioni ‘artigianali’ vi
sono dei rischi connessi alla mancanza di controllo di qualità del
prodotto”. Quanto al metodo, continua D’Incalci, “credo che quel tipo di
sperimentazione non consenta di ottenere delle valutazioni credibili
dei risultati” anche se ritengo che “i pazienti e le loro associazioni
debbano avere una parte attiva nella ricerca di nuove terapie e non
subire quanto deciso dall’industria del farmaco. Ma attraverso una
collaborazione ed uno stimolo costruttivo della comunità scientifica,
che possiede gli strumenti scientifici e metodologici per condurre le
sperimentazioni in modo appropriato”.Vista da uno storico e filosofo
della medicina quale Gilberto Corbellini, professore ordinario di Storia
della Medicina presso l’Università “La Sapienza” di Roma, la vicenda
non ha molto rilievo per il “fatto che i malati si organizzino per
cercare di bypassare o accelerare alcune fasi della sperimentazione
clinica”. Questo, dice, “era già accaduto per la sperimentazione di
alcuni farmaci antiAids”. Il caso diclororacetato, piuttosto, mette in
luce “che sta crescendo l’insofferenza sia da parte dei pazienti sia da
parte dei medici per i vincoli procedurali, di natura economica ma anche
etico-politica, che condizionano le opportunità di cura. Verosimilmente
sono soprattutto i controlli e i vincoli imposti dalla bioetica negli
ultimi decenni che hanno determinato un aumento ingente dei costi della
sperimentazione, al punto che oggi solo le imprese farmaceutiche possono
sostenerli”. A tal punto, continua, “sarà inevitabile una crescente
ribellione dei malati, che sono più disposti a correre rischi di quanto
non ritengano i bioeticisti e i politici”.Ma Corbellini ci tiene a
essere chiaro: “Nonostante l’eccesso di proceduralismo e di tutele che
alla fine stanno mettendo la ricerca clinica nelle mani dei privati, la
sperimentazione clinica è indispensabile per stabilire in modo obiettivo
l’efficacia di un farmaco. E l’esperienza dei pazienti, a meno che
venga organizzata nella forma di un trial clinico, non può appurare
nulla. I pazienti devono capire che la sperimentazione clinica deve
essere fatta in un certo modo per dare una risposta accettabile. In tal
senso, dovrebbero comunque seguire le procedure, altrimenti rischiano di
ritardare l’accertamento invece che accelerarlo”.Intanto, la molecola
dei miracoli o della discordia, continua ad essere assunta. “Sono
centinaia, ormai” sostiene Jim Tessano, il biologo creatore del sito su
cui è possibile acquistare Dca. E tra essi comincia a serpeggiare la
delusione per l’assenza di finanziamenti privati al «loro studio».
“Perché la Bill & Melinda Gates Foundation non sta dando ciò che ha
promesso?”, si chiede Steve in una delle stanze del forum.“Dobbiamo
lavorare duro per immettere questo farmaco sul mercato” sostiene Jimmi a
meno di una settimana dalla scomparsa della moglie, “speravo che il Dca
funzionasse, non vorrei vedere più nessuno soffrire come ha fatto lei
negli ultimi otto mesi”. Così, mentre le morti si succedono
inesorabilmente, l’esperienza individuale cerca di trasformarsi in
impegno sociale. Ed Internet si conferma essere il luogo di elezione di
queste dinamiche, conferendo nuova pubblicità a fatti, eventi, persone e
rendendo possibile quella che più di dieci anni or sono, un filosofo e
antropologo canadese, Pierre Levy, ha definito intelligenza collettiva.
Una capacità di conoscenza potenziata grazie all’interazione su scala
globale di singole intelligenze ed esperienze.Sì, in effetti si tratta
di un esempio di intelligenza collettiva”, conferma, seppure con
cautela, Levy, “anche se Internet di per sé non crea alcuna conoscenza.
Solo le comunità umane creano conoscenza, eventualmente attraverso l’uso
di Internet”. Nel caso specifico, conclude lo studioso, “i pazienti e
gli animatori delle comunità dovrebbero organizzarsi nello stesso modo
della comunità scientifica per testare il Dca e riportare i risultati
dei test. Questo è l’unico modo per trasferire conoscenza alle
generazioni future”.
Per info: http://www.focus.it/community/cs/forums/thread/484378.aspx
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